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Il

a Codigoro

Primi appunti per una ricerca
di Aniello Zamboni
e Cesare Bornazzini

Un ringraziamento a Primo Corucci

Perché allargar voleste
la cinta maledetta ?
A me (che me ne intendo)
piacque sempre stretta.
(1)

 


Edifici liberty a Codigoro
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La domanda e la nostalgica conclusione possono leggersi in una pagina di una rivista satirica pubblicata a Bologna nel 1889. Esse non potrebbero riassumere meglio la frenetica corsa all'abbattimento delle mura che circondavano la città, poche se ne salvarono. Meglio ancora evidenziano l'avanzare dei tempi nuovi accompagnati dall'emergere di "quel grigio diluvio democratico", così D'Annunzio definiva la società borghese del tempo, nel quale vuole trovare posto il cosiddetto ceto medio impiegatizio. (2)
Preme, nel contempo, il quarto stato, il proletariato, e si fanno sempre più forti le questioni sociali, delle quali non poche, anche qui attorno a noi, esploderanno in drammatici conflitti.
Tutti, borghesia, ceto medio e proletariato, saranno gli arbitri dello sviluppo urbanistico delle nostre città nei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento; sviluppo che verrà "a concretizzarsi in palazzi misti tra residenza e spazio commerciale (soprattutto all'interno del centro storico), nelle palazzine, nei villini" (3) uni, bi, trifamigliari e nelle case popolari.
Il rinnovamento e l'ampliamento delle città sono un'imposizione data dal bisogno sociale di dare lavoro ad un numero di disoccupati ognor crescente, dalla doverosa necessità di adeguamento all'igiene, dal traffico-rivoluzionato dall'avvento della ferrovia e dell'automobile, dalle nuove esigenze del commercio, dalla decenza e ... dalla bellezza reclamata dallo spirito nuovo che si sta impadronendo del vecchio continente.
Lo spirito nuovo è essenzialmente gioia di vivere.
A crearlo contribuisce anche il lungo periodo di pace di cui l'Europa gode. Una gioia di vivere che vede nella scienza, l'arcangelo del progresso, la redenzione dell'umanità dal peccato originale del bisogno e della fatica.
E' proprio negli anni compresi tra la fine del secolo e la prima guerra mondiale che molte città della nostra regione - Bologna, Modena, Reggio Emilia... Ferrara, per non andar lontano - assumono un volto nuovo grazie alla ricchezza prodotta dal notevole sviluppo dato all'agricoltura, rivitalizzata dalla messa a coltura delle terre bonificate e grazie all'ancora modestissimo, ma vitale, apparato industriale.
Uno sviluppo economico, fragile e precario quanto si vuole, fautore di promozione sociale coglibile "nelle palazzine e nei villini la cui fortuna e capillare diffusione riassumono tutta un'epoca" (4); palazzine e villini nei quali si insedia "quel grigio diluvio democratico" in continua espansione, che affida ai progettisti locali, aperti ai nuovi stilemi architettonici e decorativi, il compito di presentare nella casa il suo nuovo status symbol fondato, non sulla nobiltà del sangue e sulla rendita parassitaria, ma sulla ricchezza prodotta dal lavoro, dalla genialità imprenditoriale, dalla ricerca del profitto.
Le vecchie case, pressoché tutte uguali, per lo più scatole quadrangolari con aperture disadorne per gli usci e le finestre, connotate dallo stesso stile all'esterno e all'interno, serrate le une alle altre, grigie, arredate finanche in modo uniforme, non possono presentare l'immagine del ceto emergente: "lo spazio qualificante" del vivere borghese è il villino con giardino, fuori del vecchio agglomerato urbano. (5)
A Bologna,ad esempio, i villini sorgono lungo i viali aperti dove si innalzavano le vecchie mura.
Codigoro, pur in modo molto, ma molto contenuto, pare presentare taluni degli aspetti sopra accennati.
Si potrebbe obiettare che attorno a Codigoro le mura non ci sono mai state.
Invero ci sono e ben possenti. Qui le mura da abbattere sono il Po, che frena l'espansione "al di là", sull'altra sponda, e le terre basse e acquitrinose intorno.
Queste ultime, in particolare, ne impediscono lo sviluppo economico, ne frenano la promozione sociale e all'infuori di qualche palazzo di una certa apparenza sulla riva sinistra del Po, non hanno consentito di esprimere altro.
Le terre basse e acquitrinose sono mura ben più possenti di quelle della cerchia urbana delle città e tutti i tentativi di abbatterle, da sempre posti in atto, hanno dato risultati effimeri. Sono sempre risorte,come l'araba fenice.
Ma oggi le conquiste della scienza e della tecnica, congiunte al mercato del capitale privato messo a disposizione dalle grandi banche e da singole famiglie, rendono possibile la redenzione delle immense distese paludose del basso ferrarese con la realizzazione delle grandi opere idrauliche susseguitesi dal 1875 al 1910.
1875: entrata in funzione del primo impianto idrovoro;
1910: entrata in funzione del secondo impianto che, tra l'altro, permette una maggior sicurezza di scolo.
In quel trentennio o poco più, si insediarono le grandi aziende capitalistiche: la Società Bonifica Terreni Ferraresi, la Società Anonima di Esportazione Agricola Cirio, la Società Lodigiana, la Codigoro, La Società Immobiliare Veneta, l'Azienda Riporto Ariano, l'Azienda Vittoria.
Minore, ma non trascurabile, è la presenza di singoli capitalisti, tra i quali si distingue la famiglia Zamorani.
Avanza parallelamente il processo di ammodernamento dell'agricoltura col conseguente aumento di redditività della terra grazie pure all'affermazione, e con straordinaria rapidità, della produzione della barbabietola da zucchero all'interno di una economia sostanzialmente cerealicola.
Allo sviluppo agricolo, apertosi con l'inaugurazione della tramvia (16 gennaio 1901) di collegamento con Ferrara, si affianca un apparato industriale di buona rilevanza: la Negrotto per la compressione meccanica della polvere di torba nel 1892, lo zuccherificio nel 1898, la Cartiera nei primi anni del secolo.
Nei circa cinquant'anni che intercorrono tra il 1853 (6) e il 1901 (7) la popolazione dell'intero comune di Codigoro è più che raddoppiata: è passata da 4.096 a 9.865 abitanti.
Nel 1853 la popolazione è così distribuita: 2756 abitanti nel capoluogo, 507 a Mezzogoro, 833 a Pomposa; le case a Codigoro sono 474.
L'incremento maggiore si è avuto nel ventennio 1881-1901: da 6.373 ai ricordati 9.865 abitanti. (8) Eh sì che il rachitismo, la febbre tifoidea, la pellagra, la malaria e il colera - dura l'epidemia degli anni 1885 e 1886 - non sono stati inoperosi.
Alla vigilia della prima guerra mondiale (1914) la popolazione assomma a 12.659 abitanti. In tredici anni è aumentata di 2.794 unità.
Ignoriamo la distribuzione tra frazioni e capoluogo e, dato ancor più interessante, il numero delle case.
La bonifica ha chiamato notevoli masse di lavoratori e accanto allo sviluppo economico ha prodotto il sorgere di problemi sociali, sindacali e politici di considerevole gravità, che hanno avuto adeguate e dettagliate ricostruzioni storiche alle quali rinviamo.
La ricchezza investita, prodotta e ricapitalizzata, e il conseguente flusso immigratorio incidono sulla fisionomia del capoluogo il quale modifica il proprio assetto urbano.
Trascuriamo la ristrutturazione di alcuni edifici del vecchio centro, in particolare sulla riva sinistra del Po e sull'attuale via IV novembre. In questa strada, che si apre sulla piazza ove si concentrano pretura, municipio e chiesa, gli interventi sono per lo più necessitati dal cambiamento di vita che impone il reperimento di spazi da destinare al commercio, all'esercizio del credito, al caffè.
Trascuriamo inoltre gli interventi edificatori che hanno lasciato immutato l'assetto originario dell'abitato, ad esempio la costruzione dell'edificio scolastico (1890), e portiamo la nostra attenzione verso le due direttrici principali che il nuovo indirizzo urbanistico segue, direttrici nelle quali troviamo "la testimonianza più vera ed evidente di status symbol borghese assegnato al villino". (9)
La prima direttrice interessa l'odierna via XX Settembre, la seconda la zona "al di là del Po", di prevalente proprietà della famiglia Zamorani, compresa tra le attuali via Marconi - XXV Aprile e via Buozzi, attraversata dalla via Mazzini, già raggiungibile dal 1880 con la costruzione del ponte sul fiume.
Via XX Settembre è la strada aperta alle "terre nuove", ai grandi impianti idrovori, allo zuccherificio, alla cartiera. Al termine di questa strada, al limite tra l'abitato e la campagna, viene edificata la stazione, oggi un brutto rudere abbandonato, dove sostano e si rifocillano gli "animali di metallo": le locomotive della tramvia Codigoro - Ferrara.

 

Idrovoro

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Sorge, la stazione, proprio davanti agli idrovori e non è una collocazione casuale: gli uni e l'altra sono invero i pilastri della porta ideale da cui sono entrati la rinascita economica, sociale e culturale. Il progresso insomma.
E il nuovo stile compare negli impianti idrovori - le decorazioni del secondo sono affidate all'ingegner Ciro Contini (Ferrara 1873 - Los Angeles 1950), emblematico protagonista del Liberty ferrarese - dove gli elementi strutturali in vista divengono al tempo stesso elementi decorativi. (10)

 

Palazzina padronale
 

Proseguendo lungo via XX Settembre incontriamo una bella palazzina liberty ingentilita dalla cancellata e dai balconcini, uno sovrapposto all'ingresso centrale, in angolo con la torretta, l'altro in alto, sul corpo di quest'ultima. L'edificio è articolato in due corpi distinti tra i quali emerge la torretta che supera di un piano il corpo principale. La facciata appare scandita da precise regole geometriche: la fascia di sottogronda, quella mediana, la larga fascia a bugnato liscio che riveste il restante prospetto fino all'alto zoccolo.
E', infine, vivacizzato dall'alternarsi intonaco-mattoni a vista come il paramento murario della palazzina padronale dell'idrovoro, dalla modanatura lievemente aggettante, delle mensole che reggono la gronda della torre, le quali richiamano le mensole del balcone della palazzina dell'idrovoro, animate dal motivo floreale in cemento sul fronte.

 

 

Ma è sul lato sinistro e sul retro dove il villino di via XX Settembre evidenzia i particolari decorativi di impronta liberty.
Sono coglibili nei motivi floreali dipinti come un delicato festone sull'architrave delle finestre, nei ferri del grillage della porta e della ringhiera del balcone, i quali si intersecano, si annodano e sbocciano in fiori.
Tuttavia è "al di là del Po" che la consistenza numerica offre la maggior testimonianza dell'"epoca dei villini" e dell' "ampliarsi di Codigoro in fasce residenziali periferiche".
Anche una lapide ricorda quell'epoca:

 

Questo borgo oltre il Volano / che di Nuova Codigoro il nome assume / sorse nell'anno 1906 / per le ardite iniziative / di Rodolfo Pandolfi fu Alfonso / Lo ideò e costrusse / incremento e decoro al natio loco / Perchè di lui appo i concittadini / grata la memoria si conservi / Sedici Giugno 1910

 

Alfonso Pandolfi è un imprenditore edile di buona fortuna: di lui ricordiamo le ex scuole elementari in Riviera Cavallotti, l' "Aquilone" in via XX Settembre e altri due edifici che andiamo a nominare. 
La lapide è infissa sotto i portici di una casa d'angolo tra via Mazzini e via Risorgimento. Le parole che emergono per il rilievo ad esse dato sono Nuova Codigoro. Era forse intenzione di coloro che posero la lapide limitare alla via Risorgimento la celebrazione dell'intrapresa di Pandolfi. La via, infatti, superati i due palazzetti porticati di una certa pretesa rinascimentale che ne fiancheggiano l'ingresso, costruiti dal Pandolfi, appare un borgo di modeste case popolari: quelle case offerte bell'e fatte per tutti gli usi e per tutti i bisogni e simili alle tante "di qua dal Volano" nelle vecchie strade che si diramano a pettine dalla riviera di sinistra.
E' però un'interpretazione fortemente riduttiva perché il nuovo gusto i suoi virtuosismi architettonico - decorativi li mostra in particolare in questa periferia alla quale ben si addice il nome di Nuova Codigoro.
Qui, in palazzine progettate in forme libere e immaginose, ognuna delle quali ha qualcosa di nuovo e di diverso, possiamo ammirare l'alta torre che termina con un'amplia Serliana. (Serliana dal cognome dell'architetto Serlio (1475-1554) è un particolare tipo di trifora con le aperture laterali trabeate e quella centrale ad arco, risalente a tarda età romana e diffusa poi nel cinquecento dal Serlio...

 

 

... o i Bow-window (tipo di balcone chiuso sporgente per uno o più piani dalla facciata di un edificio e internamente unito,mediante una grande apertura, all'ambiente interno corrispondente, del quale costituisce parte integrante)...

 

 

... dei soggiorni che si trasformano in balconcini; le finestre e le porte che assumono le diverse sagomature dell'arco (a tutto sesto, scemo, a sesto acuto, moresco, ellittico, inflesso, policentrico)...

 

 

... e una graduazione di motivi lineari: finestre bipartite...

 

 

... o tripartite da colonne o da pilastri sui quali poggiano architravi che ostentano leggeri festoni fitomorfi...

 

 

... o ammirare palazzine le cui facciate sono segnate da elementi decorativi che invitano a pause marcate.

 

 

Sono questi le ceramiche smaltate a configurazioni fitomorfe che accompagnano le mensole, modanate e trasformate in elementi vegetali, che reggono la gronda...

 

 

...o gli architravi che chiudono la porta o ne spartiscono le luci.

 

 

Sono le conchiglie di Venere al di sopra di una finestra oppure le figure zoomorfe...

 

 

... o le ghirlande che coronano le finestre o i fiori della fascia nastriforme che si stende tutto attorno nel sottogronda o sottolineano la cornice della finestra.

 

 

Sono, per tacer d'altri, i ferri intrecciati in un'armonia di linee rette, spezzate e ondulate che creano una varietà di figure geometriche, piane e non, in balaustrate, recinzioni, lampioni.

 

 

Sono i ferri concepiti come se fossero elementi vegetali, steli di fiori e fiori sbocciati presentati in una "imitazione essenziale della natura" non copiata "nei suoi aspetti di superficie, nell'indurita crosta esteriore" (11)...

 

... come fanno i seguaci del naturalismo (Teoria estetica secondo la quale un'opera d'arte è riuscita solo se si riproduce la realtà con il massimo rigore, prescindendo da ogni intromettenza soggettiva, idealizzante o metafisica).

 

 

Ma l' "organicismo (il mondo fisico è come un organismo, cioè un essere vivente, animale e vegetale), il biomorfismo, il fitomorfismo che saltano subito agli occhi di chiunque si avvicini a qualche prodotto liberty" (12) lo troviamo anche qua e là fuori dalla "Nuova Codigoro". Appare con tutta evidenza nell'affresco a cielo aperto dipinto nel sottogronda di una casa in via Derna...  

... nella bella cancellata in ferro di una casa in angolo via Curiel - via Pomposa, la quale casa si distingue pure per l'arco di cemento delle finestre; senza dimenticare il fascione di sottogronda della casa di via Pomposa 40...  

 

 

... i pannelli all'interno del salone della ex sede della Cassa di Risparmio in via IV Novembre. Questi pannelli, nell'opulenza della veste decorativa, un ricamo cromatico di frutti e fiori traboccanti da cornucopie, il corno dell'abbondanza, il simbolo della fertilità,
raffigurano una natura che non è di questo mondo, ma di un mondo magico orientaleggiante. Sono l'immagine dell'incarnarsi dello spirito dell'arte nuova anche nelle opere più modeste.

 

 

 

Ma cos'è il LIBERTY?
"E' un indirizzo di gusto relativo all'architettura e alle arti figurative e applicate che può essere cronologicamente collocato tra l'ultimo decennio dell'Ottocento e il primo del Novecento" (13).
Naturalmente, come ogni altro movimento, è preceduto da un lungo periodo di incubazione e seguito da uno, altrettanto lungo, di manifestazioni ritardatarie che potremmo chiamare "cascami del liberty". Il nome liberty ha un'origine occasionale: si diffonde da Milano dove il negozio di Arthur Liberty, succursale dell'omonimo magazzino di Londra, espone mobili e oggetti particolarmente conformi al nuovo stile, il modern style, oggetti che nel discorrere corrente vengono indicati come liberty. Il nome esprime via via atteggiamenti diversi, dispettosi, beffardi, gioiosi. Questi ultimi esprimono "il piacere di evocare la libertà creativa" (14) che si traduce nel rifiuto di seguire le leggi delle accademie e delle associazioni artistiche ufficiali. Il nome Modern Style evidenzia la matrice inglese del movimento, le cui prime manifestazioni compaiono nelle arti grafiche: illustrazioni o manifesti mostrano "la spinta liberatoria della nuova idea dell'arte nel fluttuare, slittare, svolazzare, prorompere a scudiscio di inedite forme disegnative" (15).
Ma è quando si esprime nell'architettura che il movimento assume "dignità e potenza di stile" (16).
La terminologia varia da paese a paese. In Francia e in Belgio il movimento è conosciuto come Art Nouveau e anche questo nome è preso da un'insegna di negozio dove venivano venduti mobili, arazzi e altri oggetti in questo stile.
In Germania è Jugendstil dal nome della rivista Jugend fondata nel 1896. Sono nomi che si applicano anche all'architettura: Art Nouveau dove prevalgono le tematiche vegetali e gli andamenti sinuosi di gambi o foglie o petali di fiori; Jugendstil ove prevalgono le figurazioni scultoree, sempre con privilegio della linea ondulata, nell'area tedesca. In Italia ci si ispira a questo o a quell'indirizzo secondo la situazione geografica e culturale dei singoli centri. Come reazione alle forme "troppo arzigogolate ed esuberanti" (17) prevarrà a un certo punto lo "Stile Secessione" della scuola austriaca.
Al di là dei nomi,diciamo che il movimento nacque in opposizione a due correnti principali della seconda metà dell'Ottocento: lo storicismo e il naturalismo. Lo storicismo è un movimento teso a recuperare in modo spesso eclettico e con freddezza accademica, gli stili del passato: neoclassicismo, neobarocco. Il naturalismo è invece la tendenza a riprodurre e riprodurre con fedeltà e rappresentare oggettivamente nell'opera d'arte la natura e il reale in contrapposizione ad atteggiamenti di astrazione.

In opposizione allo storicismo il liberty proclama la realtà del presente e del futuro, una realtà in divenire.
In opposizione al naturalismo proclama che l'arte nuova va portata sotto le categorie della bellezza, dell'eleganza e del decoro attraverso forme libere e immaginose fuori dai dati di fatto.
Noi non sappiamo a quale stagione del liberty appartengono le testimonianze che "al di qua e al di là del Po" troviamo del movimento; se siano attribuibili direttamente o indirettamente a questo o a quell'artista, se siano o no copiature.
Solo un'indagine approfondita e condotta casa per casa attraverso la lettura delle schede catastali, delle concessioni edilizie e degli atti notarili di trasferimento della proprietà può rispondere ai nostri dubbi.
Quella nostra non è una ricerca, è una provocazione. Un dire che a Codigoro non poche e di un certo rilievo sono le testimonianze del liberty o che sono ispirate al liberty; che esse vanno censite, studiate e difese. Sì, difese perchè in questi ultimi anni più d'una è stata abbattuta nell'indifferenza generale per far posto a costruzioni che lasciano perplessi.
E' necessario infine entrare nelle case liberty: il movimento si estende all'architettura e alle arti figurative applicate e l'interno di qualche casa può conservare preziose testimonianze: vetrate, balaustre di scale, mobili...

 

 

 

NOTE

(1) Dalla rivista umoristica "Ehi ch'al scusa" Bologna maggio 1899 cit.da Vincenzo Vandelli, L'Emilia senza mura: la riorganizzazione delle città e la diffusione del
Liberty, in Liberty in Emilia, Modena 1988,p.2
(2) V.Vandelli, L'Emilia senza mura, op.cit.,p.10
(3) Ibidem
(4) Ibidem
(5) Ibidem
(6) L.Del Palma-F.Tassinari e c., ristampa statistica della popolazione dello Stato Pontificio dell'anno 1853-Compilata nel Ministero del Commercio e Lavori Pubblici, Roma 1857, riediz.Bologna 1992, p.53
(7) P.Viganò, Codigoro dalle lotte agrarie agli anni della rinascita (1897-1986) stampato a Conselve (PD) 1986,p.18
(8) Ibidem
(9) V.Vandelli, L'Emilia senza mura, op.cit.p.10
(10) R.Roda-G.Guerzoni, Il tempo delle ciminiere, t.I,Padova 1992, p.280
(11) R.Barilli, Il Liberty, Milano 1966, p.17
(12) Ibidem
(13) Ibidem
(14) R.Bassaglia, Il Liberty in Italia, Milano 1997, p.8
(15) Ibidem
(16) Ibidem
(17) Ibidem

 

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